mercoledì 27 ottobre 2010

Passerà anche questo

di Cladio Magris
e conclusione di Nur Eddin.


La cena stava per finire, fra poco sarebbe venuto il momento dei brindisi, dei discorsi, dei rinnovati rallegramenti al vincitore. Sulla tovaglia c’era qualche macchia di vino e ogni tanto, dalle candele,cadeva qualche goccia di cera. I camerieri erano pronti a sostituire piatti e posate, le loro braccia calavano sulla tavole e si ritraevano rapide come sciabolate, ma quella geometria cominciava qua e là a sbandarsi, qualche gesto s’inceppava e qualche oggetto scivolava dalle maglie dell’ordine, restava indietro, abbandonato all’inerzia e allo sfaldarsi delle cose. Guardò il piatto del suo vicino, che raccontava a voce alta, mezzo girato dall’altra parte, qualcosa di divertente, e osservò il grasso che si era rappreso sul fondo. Quel sugo, poco prima, era buono. Chissà dove e quando iniziava la prima incrinatura, se c’era un punto preciso, una soluzione di continuità fra il colletto inamidato e quello sudato.
Lanzani gli versò da bere, ignorando il suo rassegnato diniego. “E’ una Freisa straordinaria, viene da qui vicino, pochi chilometri da Casale. Che i rossi francesi, in mezzo mondo, siano più pregiati di quelli piemontesi, dimostra solo che noi non ci sappiamo fare, che in guerra e in commercio siamo ancora, nonostante tutto, all’abbicì. Per fortuna che almeno in amore –“. Serra sorrise educatamente e lo guardò con i suoi occhi acquosi, che una volta erano stati azzurri. Dovette fare un piccolo sforzo per guardarlo realmente, per vedere i suoi capelli neri e lisci, il grande naso rapace, la bocca golosa e spavalda. Da qualche tempo gli sembrava di non poter fermare il suo sguardo su un singolo oggetto, ma di oltrepassare le cose come se fossero trasparenti e di perdersi, con la sua vista miope, in un’incolore lontananza.
Sorrise di nuovo a Lanzani, un mesto sorriso di scusa per quella difficoltà di metterlo a fuoco, di avvertirne l’imperiosa presenza. Capiva che agli occhi avidi e penetranti di Lanzani sfuggivano pochi dettagli, anche quando parevano solo ridere, velati dal vino o accesi da qualche storiella raccontata fra una portata e l’altra. Le portate erano ragguardevoli, degne, come tutto il premio, dell’ospitalità di Lanzani. Era difficile deporre le Muse dal loro seggio. Le società che Lanzani possedeva erano, per chi ne sentiva spesso nominare le sigle, impenetrabili come il destino e i giornali di cui possedeva quote decisive potevano contribuire a scalzare un presidente dalla sua sedia o Dio da un cuore, ma qualcosa gli incuteva uno strano rispetto per la gente che allineava parole sulla carta, innocue eppure autorevoli. Il munifico premio letterario, che Lanzani aveva istituito per la giovane narrativa e che veniva conferito da una giuria su cui non c’era nulla da dire, era la mancia di un padrone, ma anche l’offerta di un devoto.
Il vincitore aveva letto un capitolo del romanzo premiato e ora la consuetudine voleva che altri leggessero, in suo onore e in onore di se stessi, qualche loro pagina. Poi si sarebbe reso, com’era giusto, omaggio al luogo in cui avveniva la premiazione, alle sue nobili tradizioni e alla sua cultura. Serra guardò, fuori dalla finestra, le grandi montagne inghiottite dalla notte, sulle cui cime era ancora rimasto impigliato qualche brandello della sera. I versi e le prose che venivano letti a pochi metri da lui gli arrivavano come un brusìo, non si distinguevano bene dal ritmico ronzio che l’alta pressione gli faceva sentire alle orecchie. Si lasciò cullare da quel fluire uniforme, senza seguire le diverse voci e parole che si succedevano. Gli piaceva che la vita scorresse regolare e uguale, cancellandosi di continuo, come i pasti della sua pensione, il radersi ogni mattina. Fra poco sarebbe toccato a lui; lui era per così dire, una specie di ospite d’onore, da esibire ai presenti.
Era un po’ comico fare la parte del genius loci di quelle terre, che non sapeva se poteva chiamare sue, anche se le amava, nei limiti in cui gli era concesso coniugare quel verbo. Ma non si sentiva certo fuori posto, da molto tempo aveva disimparato quella sensazione e anzi non capiva come, in questo mondo, ci si potesse sentire a proprio agio o a disagio. Quel portacenere alla sua sinistra, nel quale ogni tanto qualche mano scuoteva la sigaretta, non era né al posto giusto, né a quello sbagliato, era semplicemente là, alla sua sinistra.
“Ma Lei, quando scrive? Dico, quando scrive veramente?”. La curiosità di Lanzani gli sembrò indecorosa, come gli avesse chiesto in che ore e in che posizioni era abituato a fare all’amore, ma sentì che in quella domanda c’era rispetto e quasi deferenza, il desiderio di conoscere i segreti di un’attività che all’altro doveva apparire misteriosa, mentre a lui era sempre parsa monotona, tutt’al più malinconicamente casuale. “Veramente veramente, mai”. Lanzani rise rumorosamente e gli diede una pacca sulle spalle. “Lei è proprio un bel tipo, mi piace, un vero scrittore, lo si vede subito”. Veramente o no, da quanti anni non scriveva? La valle senza fondo, sulla quale Lu si alzava come un aquilone, gli diede un attimo di smarrimento e per far ordine in quel vuoto scuro che si sentiva dentro passò meticolosamente in rassegna, nella sua mente, la stanza della pensione in cui viveva: il letto, il lavandino, due o tre scaffali di libri, la poltrona accanto al tavolo, l’attaccapanni, la fotografia dei genitori, l’ombrello appoggiato in un angolo. Il pensiero dell’ombrello lo rassicurò, tenere nella sua mano il manico ricurvo, liscio e robusto, gli dava sempre una certa tranquillità.
In quella stanza c’era tutto quello che gli era rimasto. Il resto…era un po’ assurdo pensare che c’erano state altre cose, tante altre cose, e a come si erano perdute. Ricordava bene, questo sì, la bella casa con giardino, e la fresca veranda, un po’ fuori dalla cittadina in Moldavia dove suo padre aveva impiantato la fabbrica di cappelli. La madre, in una sedia sdraio nel giardino, leggeva dei libri tedeschi; il padre, quando la sera rientrava in casa, gli parlava dell’Italia, che lui ricordava poco, delle rosse torri di Asti e delle colline del Monferrato, del tratto che separa la valle del Tanaro da quella del Po. Ricordava soprattutto una contadina romena che li serviva in giardino, d’estate, a piedi nudi, la sua nuca forte e bruna, la schiena che veniva un po’ fuori dalla blusa quando si chinava a mettere il piatto in tavola.
Quello che era venuto dopo, precipitava in una corsa confusa; gli anni in cui aveva preso il posto del padre alla direzione del cappellificio, la guerra, il dissesto, la fuga, i genitori, uno morto nel suo letto e l’alta sparita chissà dove, pulviscolo di cenere nello sterminio, il ritorno in Italia, la vita tirata avanti in grandi edifici grigi, pieni di carte da battere a macchina e timbrare, e infine il ritiro in quella pensione, nei luoghi da cui non sapeva se ricordava di essere partito o se glielo avevano raccontato da bambino. C’erano stati, sì, un paio di libri, forse anche discreti, che alcuni anni prima avevano avuto una modesta ma indubitabile risonanza – forse perché, pensava, le storie ebraiche, dopo la guerra, avevano un minimo di successo garantito.
Lanzani, accanto a lui, parlava di cene e di viaggi, tirando ogni tanto familiarmente in ballo nomi che a Serra erano vagamente noti dalle pagine dei giornali. Il professore Ribaudo, cultore di storia patria, aveva rievocato brevemente suor Angela Vallese, la prima missionaria nella Terra del Fuoco, nata a Lu Monferrato, e Serra, quando si alzò per leggere, pensava con nostalgia a foreste e a fiumi stranieri, all’ombra verde scura che corre assieme alle canoe. Il suo racconto narrava di uno che era stato, giovanissimo, guardiano in una specie di lager su un’isola adriatica e che torna su quell’isola, trent’anni dopo, insieme a una donna molto più giovane di lui, sposata da poco. C’erano passeggiate, cicale, lucertole che sgusciavano fra i sassi là dove trent’anni prima l’uomo era stato aguzzino, il volto invecchiato d’una contadina, l’orrore e l’incanto dell’estate, qualche cruda scena erotica fra i due sposi che gli diede, mentre la leggeva, un po’ d’imbarazzo, perché si accorse che si trattava di cose che, in fondo, non aveva provato.
L’applauso era sincero e Serra si sentì, non senza vergogna, lusingato. “Splendido, magnifico!”, tuonava Lanzani. “E’ un peccato che pochi la conoscano. Bisogna fare qualcosa assolutamente. Una serata a Roma, anzi a Parigi, ancora meglio, so io a chi dare un fischio”. I volti dei commensali erano arrossati e lividi. In po’ di vento dalla finestra aperta faceva oscillare le lampade e un guizzo d’ombra scivolava a tratti fra le scollature, disegnando per un attimo linee scure sulla pelle fresca e ben curata. “Oh, ne sarei felice, veramente, sono ormai tanti anni che… ma grazie, non posso con questa gamba. – Serra si diede scherzosamente un piccolo colpo col bastone – mi è così faticoso viaggiare, salire sul treno…”.
Lanzani guardò con umiltà il bastone, e si ricordò dei re pastori di cui aveva letto da qualche parte. “Macchè treno, non si preoccupi, con l’aereo, si capisce, il mio, la mando a prendere io”. Serra pensò alla vecchia torre di Lu, a tutto il paese che si slanciava in altro come un uccello della sera e si sentì, senza sapere perché, un po’ a casa. “Grazie, molto gentile,sì, molto, rispose, avvertendo sgradevolmente l’indifferenza della propria voce, ma anche con l’aeroplano mi è difficile, sa,quelle scalette, quei trasbordi, non credo proprio sia il caso –“.
“Insomma – Lanzani, brillo e accaldato, batteva il pugno sul tavolo, poco abituato a incespicare in ostacoli da nulla – non è possibile, ci sarà pure un modo, basta volerlo, è un delitto che il Suo libro…ma adesso non faccia il difficile, cosa pretende, la slitta, la mongolfiera, l’elicottero?”. Il ridacchiare dei vicini diede fastidio a Serra, ma guardando il viso pletorico e lustro di Lanzani, compiaciuto di tener banco, gli parve che la larga bocca avesse una piega quasi dolorosa. “L’elicottero andrebbe benissimo, rispose col tono più brioso di cui era capace, ma si figuri cosa direbbe la padrona della pensione, con tutto quel fracasso, se lei la conoscesse, una di quelle donne tremende –“.
“Conosco, conosco il tipo, ce n’è una, macchè una, magari solo una, nella vita di ogni povero cristo…vabbè, vabbè, vedremo. Intanto andiamo a dormire –“. Lanzani esitava, incerto, come uno che cerchi di prendere tempo. “Le piacciono le canzoni di Gino Paoli?”, gli chiese d’improvviso. “Non le conosco, ma dicono che sono molto belle”, replicò Serra, con l’affabile noncuranza che aveva per l’universo. “Le regalerò tutti i dischi, glieli faccio spedire. Fantastici, vedrà”. “Non ne dubito, grazie, li ascolterò con piacere”. “Ma Lei ha un giradischi?”, domandò la ragazza che era venuta con Lanzani. “No, purtroppo, rispose conciliante, ma non fa niente, me lo posso far prestare”.
Lanziani lo guardò negli occhi, poi si alzò e gli tese la mano. “Grazie ancora per essere venuto, spero di rivederLa e se posso esserLe utile –“. Serra gli strinse la mano e per un istante provò una vaga e sconosciuta sensazione di colpa. Si guardò intorno. “Vuole un passaggio? L’accompagno”, gli chiese uno dei poeti che aveva ascoltato poco prima. “Volentieri, ma non si disturbi, posso chiedere anche a lui, sì dico” – e indicava col bastone Lanzani che stava allontanandosi, irritato di non ricordarne, in quell’attimo, il nome. “Ma no, ma no, è la mia strada, venga”.
Serra rifiutò educatamente, come l'abitudine sua, ma dopo fece molta attenzione alla sua parola 'per favore!'
-'Per favore signor Serra vorrei accompagnarLa'.
Disse così insistentemente questo giovane poeta, e Serra anche educatamente gli consenti ad accompagnarlo...e prima di dire qualcosa, il poeta anticipò ' vorrei parlare un po' con Lei, perché io La sento signor Serra, La capisco bene, creda in me!
Ho sentito il Suo discorso con Lanzani, così per caso, non intendevo, ma l'ho sentito...comunque sento che ci sono tante cose che ti hanno offeso, e in cima c'è la domanda impertinente di Lanzani ' quando scrive?' ed altre cose ancora, l' ho capito dai Suoi occhi, dal Suo smarrimento e da un sentimento generale innato... non dimentichi che sono un poeta...'
-Mmm... ma passerà anche questo, perché non vorrei parlarne... disse Serra con una voce bassa e piena di tristezza.
E con la stessa insistenza il giovane poeta disse
'scusi, ma c'entra la Sua scrittura, no?!
Serra pensò tanto ed tra sé disse ' che sentimento che ha questo giovane poeta!… come mi manca parlare con delle persone colte che sentono bene come lui?!…devo parlare un po' con lui...è un vero poeta ...sì gli parlerò'
-'signor Serra, tutto a posto?" interrompendo il suo smarrimento
-'Sì, sì sto benissimo, ho deciso di parlare con te, sai perché...mi piacciono le persone che sentono...mi piacciono i veri poeti'
-' Ma che onore Signor Serra!...vorrei soltanto sentire qualche parola da uno scrittore come Lei"
-' Senti, scusa ma come ti chiami?'
-'Lucio, mi chiamo Lucio'
-' Senti Lucio, senti ... senti...sono indegnato per tutto quello che è accaduto alla festa, in cui la cultura doveva esssere l'unico cibo di quelle menti...ma non è stato così...era come tutte le feste di questo tipo...vino e carne...ma passerà questo...l'audacie di Lanzani mi ha offeso… ma passerà anche questo...narrare delle cose e di un paese che non sento più, perché forse non è la mia vera patria, questo anche mi offende... ma passerà anche questo...la piaga più profonda è la mia creatività... io non scrivo come una volta...l'ha detto Lanzani…e aveve ragione lui, sì malgrado non capisca, ma aveva ragione...'
-'è questo che ho sentito' sussorrò il giovane poeta.
-'Come sai, caro amico poeta noi scrittori e poeti siamo creatori di per sé, sì creatori veri e propri...siamo creati per creare!
Ma che dolore che sentono quei creatori quando non creano più... sempre pensiamo dopo ogni lavoro che questo sia l'ultimo…ma quando la distanza si allunga fra l'ultimo e quello che non si sa quando viene; proviamo un Dolore!
Sono certo che anche tu abbia provato la stessa sensazione di cui sto parlando... ma da come sei giovane, sono anche certo che tu non l'abbia provata per così tanto tempo come me...
- Ha ragione Lei signor Serra, l'ho provata…ma perché non l'ha fatto?!
-' scusa?!'
-' Cioè perché non ha creato da tanto tempo?'
E qua un altro momemto di smarrimento nel pensare suonò alla porta della mente di Serra...e tra sè disse 'devo confessarmi, sì devo affrontare questo poeta, che ritrovi la mia vita!...cofesso la mia colpa: non scrivo da tempo...sì...cofesso come cofessano i cristiani davanti ai preti... sì lo faccio'
-'Si sente bene signor Serra? Se vuole andare subito a casa, non c'è problema, la macchina cel'ho.'
-' no, no... sto bene... veramente è tanto tempo che non mi ero sentito così bene come ora...mmm sai è colpa mia che non creo e non scrivo da tanto tempo...sì è colpa mia...ero chiuso nella mia camera, mi sono fatto catturare da ciò che non provo più per la mia patria e dai problemi di salute... badavo ad altre cose non giuste...e credevo che fossero il mio vero problema non vivevo la Vita...mi mancavano quelle cose che ci stimolano, noi scittori, a scrivere...ero totalmente chiuso senza creare; senza questo cibo mentale per noi scrittori, senza sicurezza, senza tranquillità...sai, l'unica cosa che mi dava la tranquillità, era l'ombrello che mi faceva sentire che sono protetto dalla piaggia della Vita e da ogni goccia che avrei dovuto affrontare che avrei dovuto affrontare...bisogna sapere che per noi scrittori la vera traquillitaà è La Penna! Non è l"ombrello!...avrei dovuto dire alla mia penna...vieni!
E tu mi hai incoraggiato a farlo...con queste confessioni che ho fatto con te, affronto me e la Vita... creerò da domani e scriverò la mia esperienza degli anni scuri passati privi di creazione: questa aria che noi scrittori respiriamo...sì devo insistere e dire alla mia penna vieni! Come tu hai insitito e non mi hai lasciato andare quando ti ho detto passerà anche questo, non volendo confessare la realtà, anzi...non volendo confrontarmi e la Vita!
Scriverò e vedrai che sarà un libro di grande successo'
Il giovane poeta Lucio era così commosso quando disse ' Anche io scriverò una poesia dal titolo "Il ritorno di una Penna" ed anche vedrà che sarà anchàessa di sucesso..
-'Ne sono certo…perché noi due abbiamo adesso la stessa esperienza, lo stesso sentimento e faremo molte cose belle... siamo creati per creare caro Lucio'
-'Signor Serra!...volevo sentire qualche parola da uno scrittore come Lei, ma Lei mi ha fatto sentire tante parole, riflessioni ed altre cose! GRAZIE!
-'Ma Grazie a te Lucio...tu mi hai ridato la vita... tu sei quello che che mi ha fatto dire alla mia Penna vieni! GRAZIE!
-'Lucio, non dimenticare mai…creati per creare!
-' Creati per creare, signor Serra...


Claudio Magris.
Nur Eddin.